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Psiconcologia

La psiconcologia si occupa dei cambiamenti psicologici che si verificano in seguito alla diagnosi di tumore sia nel paziente che all’interno del suo nucleo familiare. Confrontarsi con una grave malattia è un po’ come dover affrontare la perdita di una parte di sé. Questo confronto genera sentimenti forti e contrastanti che si alternano spesso, non solo nei pazienti ma nei familiari stessi, che con loro vivono questo senso di perdita.

Percorso di confronto con malattia.

Il percorso di accettazione di una situazione dolorosa e destabilizzante, come può essere una malattia grave, è contraddistinto da diversi vissuti emotivi che si alternano continuamente a partire dal momento in cui l’evento destabilizzante si verifica fino alla sua accettazione. I sentimenti che caratterizzano il confronto con una patologia che mette il soggetto di fronte alla possibilità della propria morte sono stati individuati da E. Kubler Ross in incredulità e negazione, rabbia, disperazione, depressione e infine accettazione. Illustrerò brevemente qui di seguito tali vissuti descrivendoli attraverso le fasi salienti che caratterizzano l’esperienza di malattia: la diagnosi, le terapie e la lotta contro la malattia, l’accettazione della malattia.

La fase della diagnosi è caratterizzata da senso di incredulità per quanto sta accadendo che viene poi seguito dalla rabbia quando si prende atto della situazione. Alla rabbia è legato un senso di ingiustizia (perché proprio a me?). In questa fase la persona può mettere in atto strategie di negazione facendo finta di nulla per non dover affrontare l’angoscia del pensiero di morte lasciando che siano i familiari a gestire ogni cosa, dal parlare con i medici a decidere degli interventi. Parimenti i familiari sperimentano emozioni di incredulità, rabbia, e paura. Lo smarrimento è un altro vissuto caratterizzante questa fase: il non sapere cosa fare. Spesso la non accettazione della diagnosi porta alla richiesta di diversi consulti fino a quando tocca fare i conti con la realtà della malattia. Quando l’idea della malattia diventa reale si entra in uno stato di disperazione e depressione: non c’è niente da fare, è davvero così! Ciò che rende reale la malattia sono spesso le terapie. In questa fase si possono sperimentare sentimenti di speranza che la malattia possa essere almeno controllata se non guarita. Si è costretti a confrontarsi anche con i cambiamenti del proprio corpo e del proprio aspetto fisico che si può far fatica ad accettare. Le terapie rendono stanchi, possono far diminuire il livello di autonomia e dare disturbi funzionali, non si possono più fare liberamente le stesse cose di una volta e questo fa sentire di essere ammalati. I ruoli all’interno della famiglia cambiano. Perdere i propri ruoli nel contesto familiare fa spesso sentire l’ammalato inutile e senza più valore. I bisogni cambiano non solo in base alle necessità imposte dalla sintomatologia ma anche in rapporto alla paura del futuro e della malattia che fa emergere il senso di fragilità. Per affrontare la fragilità e la paura talvolta si cercano maggiori contatti affettivi con i propri familiari e aumentano le richieste di accudimento. Altre volte quando si fa fatica ad accettare lo stato di malattia e il senso di fragilità, il paziente tende a chiudersi nel silenzio e a rifiutare i contatti con gli altri, anche con i propri cari. La paura della morte esiste ma è spesso tenuta nascosta pensando che evitarne il pensiero la allontani e plachi l’angoscia. Tenerla nascosta contribuisce, invece, solo ad aumentare il senso di angoscia. Infine si arriva alla fase di accettazione in cui il paziente fa pace con l’idea della propria morte. Ciò consente di vivere con serenità e pienezza il proprio tempo, ma non sempre accade questo. Il raggiungimento di questa consapevolezza dipende da una serie di fattori non ultimo il senso di spiritualità e l’idea di aver vissuto pienamente la vita e di essere riusciti a realizzare i propri valori e progetti.

I familiari, come i pazienti, fanno fatica ad accettare quanto sta accadendo e sperimentano anch’essi sentimenti di depressione, disperazione e angoscia, la paura di perdere il loro caro, la paura di rimanere soli. Essi vivono, inoltre, il conflitto di cosa è meglio fare. E’ bene esprimere le proprie emozioni o meglio tenerle nascoste? Qual’è la giusta distanza per non sostituirsi al loro caro facendolo sentire troppo dipendente e magari inutile? Come parlargli? I familiari vivono il dilemma di non sapere come comportarsi e come comunicare con l’ammalato per non ferirlo e per la paura di far emergere emozioni troppo travolgenti. Queste preoccupazioni rischiano di alzare un muro negli scambi affettivi e relazionali che rendono più impegnativo il percorso di assistenza e il rapporto con l’ammalato. Per far fronte a queste problematiche è importante dare informazioni sulla malattia e sulle problematiche associate educando i familiari a come comportarsi per gestire determinate situazioni, anche con l’aiuto di persone esterne (amici, parenti, personale sanitario, servizi sociali). Questo promuove un maggior senso di controllo e fiducia nelle proprie capacità facendo diminuire i livelli di ansia. I familiari hanno bisogno di sapere cosa li aspetta e di essere rassicurati che ciò che accadrà sia gestibile e che non saranno soli ad affrontarlo. Dal punto di vista relazionale i familiari devono imparare a sintonizzarsi sui bisogni espressi dall’ammalato per favorire una modalità comunicativa che ne rispetti le esigenze senza impedire gli scambi affettivi e l’espressione delle emozioni di entrambi.

Come nel caso di altre malattie coniche e invalidanti anche nel cancro la terapia psicologica è basata sul sostegno e sull’accompagnamento del paziente ad affrontare i cambiamenti individuali, psicologici e contestuali che la malattia comporta. Il percorso di elaborazione e il contenimento delle forti e contrastanti emozioni legate al cambiamento dell’immagine di sé e della propria vita,passa attraverso la validazione dei propri vissuti che consente al paziente di continuare a sperimentare il proprio senso di soggettività e il proprio valore.

I familiari vanno sostenuti nel trovare il modo più appropriato per rapportarsi all’ammalato e per supportarlo oltre che essere aiutati ad elaborare i propri vissuti emotivi trovando anch’essi un senso all’esperienza di malattia.


Dott.ssa Teresa Conti
Psicologa Psicoterapeuta a Bologna (Zona Saffi)

Dott.ssa Teresa Conti

Mi chiamo Teresa Conti, vivo a Bologna, sono iscritta all’ordine degli psicologi dell’Emilia Romagna con il n. 3421 e il mio orientamento teorico è il modello costruttivista intersoggettivo, in cui mi sono formata presso la scuola di psicoterapia Cesipc di Firenze.

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